L'uomo moderno crede di perdere "il tempo" quando non fa le cose in fretta;
eppure non sa che cosa fare del tempo che guadagna, tranne che ammazzarlo.
Erich Fromm
Donne sfuggenti, che sembrano celare un segreto dalla superficie piatta della tela; volti e corpi dalle forme antiche, sculture a tutto tondo, a tratti frammentarie, che sfidano i principi di statica ed equilibrio; un uso dei materiali che privilegia il recupero di carte e supporti vari, e che nel riuso assumono una nuova funzione e un nuovo significato.
Sono molti i punti di contatto che accomunano il fare artistico di Vittorio Iavazzo e Fabio Imperiale, ma soprattutto la volontà di piegare il dato materiale per indagare la più profonda natura umana, nella sua complessità e inafferrabilità.
Per entrambi la carta, in varie declinazioni (cartoline, giornali e riviste) riveste un ruolo fondamentale nel dare forma a visioni e volumi, e, strappata all’oblio, viene riusata come strumento d’arte, dai connotati anche ecologici.
Nelle loro figure si impastano quindi detriti di storia e di memoria, brandelli di quotidianità e momenti di fragilità, il sentire personale con il destino collettivo dell’umanità. L’interezza dell’essere, la sua totalità, restano un mito inarrivabile ed insondabile, così come la perfezione e la levigatezza: le donne di Imperiale si sottraggono al contatto visivo con l’osservatore, mentre le superfici di Iavazzo si fanno ruvide e increspate, a suggerire un universo di emozioni sottostanti che l’occhio attento dell’artista cerca di svelare.
Vittorio Iavazzo nasce nel 1991 a Napoli. Nel 2014 consegue la laurea triennale in illustrazione all’Accademia di Belle Arti di Napoli e nel 2016 la specialistica in grafica d’arte. Nelle sue opere fa uso sia di tecniche antiche che moderne e di materiali quali la cartapesta e le resine poliuretaniche. La sua ricerca artistica è improntata sull’ecologia e sul riciclo dei materiali con i quali crea volti e figure in cui prevale un gusto per l’antico nella forma frammentaria e fragile del reperto.